Le Satire di Ludovico Ariosto

Di: Elle Esse
Tramite: O2O 25/03/2018
Difficoltà:media
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Introduzione

Le Satire di Ludovico Ariosto sono una raccolta di sette componimenti in terzine scritte tra il 1517 e il 1525. L'Autore utilizza la forma dialogica, indirizzando ogni lettera a un parente o a un amico. Sono evidenti i riferimenti alle satire degli autori latini, soprattutto a Orazio per la scelta della forma epistolare e per l'inserimento degli apologhi, cioè favolette, racconti brevi di intento morale. In generale le tematiche trattate ne "Le Satire" di Ariosto sono: la condizione dell'intellettuale cortigiano, l'ambizione di una condizione indipendente e la scelta di una vita tranquilla, dedita allo studio e alla famiglia.

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La prima satira

La prima Satira, scritta nel 1517, è indirizzata al fratello di Ariosto, Alessandro, a cui vengono spiegati i motivi che hanno spinto l'autore a non seguire il cardinale Ippolito d'Este nel suo viaggio in Ungheria. Non ci sono solo le scelte personali che hanno determinato una rottura del rapporto con il cardinale: l'elemento rilevante è l'ideale di libertà che si stava affermando in Ariosto e in generale nell'uomo del Rinascimento.

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La seconda Satira

La seconda Satira è indirizzata al fratello Galasso in occasione di un viaggio a Roma legato al suo ruolo ecclesiastico. L'autore coglie l'occasione per muovere critiche esplicite alla corte papale, esprimendo l'indiscussa preferenza per uno stile di vita tranquillo, ribadendo il suo desiderio di autonomia.

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La terza Satira

La terza Satira (1518) è indirizzata al cugino di Ariosto, Annibale Malaguzzi. L'autore affronta il tema della sua nuova condizione al servizio del Duca Alfonso d'Este, affermandondo nuovamente il suo rifiuto alla carriera ecclesiastica e giustificando la rottura del rapporto con il Cardianale Ippolito in quanto mosso dall'impegno di difendere principalmente la sua dignità di intellettuale. Ariosto non desidera essere al servizio del Papa o di un re: ciò cui ambisce è realizzare il desiderio di condurre una vita tranquilla.
Da notare, in questa epistola, i due apologhi della gazza (per affermare il suo desiderio di vivere lontano dal potere) e della luna (per riferirsi alle illusioni di potere degli uomini).

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La quarta Satira

La quarta Satira, composta nel 1523, è indirizzata al cugino Sigismondo Malaguzzi. Ariosto inizia il componimento esponendo le nuomerose difficoltà legate al suo nuovo impegno nel governare la Garfagnana, territorio ostile. L'Autore, inoltre, coglie l'occasione per esprimere la sua nostalgia per la vita da letterato (in quanto il nuovo lavoro gli impedisce di dedicarsi pienamente all'attività della scrittura) oltre che lamentare la mancanza della sua donna e della vita familiare.

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La quinta Satira

La quinta Satira, scritta tra il 1519 e 1521, è nuovamente indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi, prossimo a prendere moglie. Ariosto affronta il tema della vita matrimoniale, esaminando, con tono scherzoso, tutti i vantaggi e gli svantaggi legati al rapporto tra coniugi.

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la sesta Satira

Il destinatario del sesta Satira, composta tra il 1524 e 1525, è Pietro Bembo, importante intellettuale del Rinascimento. L'epistola, anche in questo caso, è scritta con un tono palesemente autoironico e scherzoso: l'occasione consente ad Ariosto di ricordare in maniera scherzosa gli anni della sua giovinezza anche se ammette di rimpiangere di non aver studiato il greco.
L'intento principale di Ariosto è quello di rivolgersi a Bembo - noto tra l'altro per essere uno studioso della lingua greca - per chiedergli consigli relativi alla formazione ed educazione del figlio Virgilio.

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la settima Satira

Il destinatario dell'ultima epistola, composta nel 1524 in Garfagnana, è Bonaventura Pistofilo, segretario del Duca Alfonso I d'Este.
L'intento di Ariosto è quello di giustificare il suo rifiuto di diventare ambasciatore estense a Roma per Papa Clemente II: l'autore infatti ammette di preferire l'ambiente natio ferrarese, caratterizzato dallo stile di vita sereno e lontano dai problemi legati alla politica e agli ambienti di corte, ribadendo la volontà di assecondare i suoi ideali di uomo e intellettuale libero.

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