Le conseguenze sociali della crisi del '29
Introduzione
La grande fase di sviluppo attraversata dagli Usa durante i ruggenti e prosperosi anni Venti si interruppe nel 1929, quando il crollo della Borsa di Wall Street segnò l'inizio della cosiddetta "grande depressione", che interesserà l'America, ma anche l'Europa, durante tutti gli anni Trenta. In particolare, la caduta della Borsa fu il segnale dell'arresto dello sviluppo e della fiducia degli investitori. Le cause della grande crisi del 1929 furono essenzialmente due: in primo luogo, l'affievolirsi delle esportazioni agricole verso l'Europa, ormai in ripresa dopo anni di guerra, poi anche la saturazione del mercato, con i beni di consumo durevoli che restavano invenduti. Il "Big crash" travolge non soltanto i piccoli risparmiatori o gli speculaori improvvisati, ma l'intero sistema finanziario e quindi le grandi compagnie industriali. Ecco quali sono state le conseguenze sociali della crisi del '29.
Povertà e disoccupazione
In seguito alla "grande depressione" e quindi alla crisi del '29 vi furono, in particolare, molteplici conseguenze negative in campo economico e sociale. Infatti, crollò, inevitabilmente, il valore delle azioni e risparmiatori e investitori persero tutto ciò che avevano; contestualmente fallirono le banche che gestivano i risparmi e che non vedevano ripagati i propri debiti e fallirono anche le industrie, che non vendevano più alcun prodotto a causa della saturazione del mercato. Ovviamente, di conseguenza, enormi diventarono i livelli di disoccupazione, basti pensare che almeno 15 milioni di americani erano senza lavoro. Tutto ciò si tradusse in uno stato allarmante e generale di povertà e disagio.
Migrazione
In seguito alla grande crisi del 1929 si verificarono, inoltre, enormi fenomeni migratori legati soprattutto a contadini allontanati dalle proprie terre dal "Dust Bowl" e dalle banche che sottraevano i terreni ipotecati, quando essi non erano in grado di pagare i debiti. I contadini, quindi, andarono in cerca di fortuna in altre terre, in particolare in California, dove trovarono però, nella maggior parte dei casi, soltanto ulteriori disagi e sfruttamento.
Protezionismo
Per proteggere il proprio mercato in crisi, l'America decise di imboccare la strada dell'isolamento economico, inasprendo il cosiddetto protezionismo. Si trattava, essenzialmente, di proteggere il mercato nazionale dalla concorrenza esterna, di far guadagnare esclusivamente le proprie industrie, di vendere solo i propri prodotti, ecc. Ciò determinò una reazione analoga anche da parte degli altri Paesi, cosa che portò ad una contrazione enorme degli scambi e del commercio internazionale aggravando ancor di più la crisi.
Liberalismo economico
Durante la crisi, lo Stato non intervenne per salvare le banche o con altre misure atte a contenere la crisi stessa, nella convinzione che il mercato si sarebbe autoregolato senza bisogno di interventi esterni. Alla presidenza c'era Hoover, un repubblicano conservatore e ultraliberista, che con il suo dogmatico "laissez-faire", slogan del liberalismo economico, respinge l'idea di un atteggiamento interventista della stato in campo, appunto, economico. Ciò, ovviamente, contribuì ancor di più ad aggravare la crisi.
Conseguenze politiche
La risposta alla grande depressione venne dal nuovo presidente americano Roosevelt, il qualo varò un vasto programma di riforme in ambito economico che avevano come obiettivo ultimo quello di sconfiggere ed eliminare la crisi una volta per tutte. Tale programma prese il nome di "New Deal" (nuovo patto) e si basava su una forte presenza e un importante intervento dello stato relativamente alle sorti economiche del Paese. Roosevelt riuscì in questo modo a migliorare la situazione agricola, industriale e finanziaria degli Usa, riuscendo progressivamente a risollevare gli Usa dalla grande crisi del '29.