Le 5 opere principali di Guicciardini
Introduzione
Attivo nel campo della politica e della diplomazia negli anni cruciali della prima metà del XVI secolo, Francesco Guicciardini è uno dei più importanti pensatori politici del Rinascimento. Al servizio della famiglia dei Medici, ricopre ruoli istituzionali che lo portano a toccare con mano la situazione di instabilità politica, prima di Firenze e poi dell'Italia intera. Come consigliere dei papi medicei, è una figura di rilievo nella politica estera anti-imperiale e ha modo di analizzare e di riflettere sui rapporti tra le potenze europee. Questa intensa attività politica e diplomatica è alla base delle sue opere, al centro delle quali ci sono i temi dell'instabilità politica italiana e delle forme di governo. Persa la fiducia nelle regole generali e nei modelli degli antichi, Guicciardini non approda a facili soluzioni, piuttosto alla consapevolezza della complessità della realtà, per affrontare la quale occorre la "discrezione" e il "particulare", ovvero l'attenzione per l'interesse del singolo e per i singoli casi dell'esperienza. Approfondiamo pertanto le principali opere di Guicciardini: contenuto e temi fondamentali.
Le Storie fiorentine
Le Storie fiorentine sono un'opera giovanile di Guicciardini, scritta negli anni tra il 1508 e il 1512. Già in questa prima opera è possibile notare l'intreccio strettissimo tra storiografia e politica e un'analisi che mira a ricostruire le cause della crisi politica italiana. Non ancora trentenne, Guicciardini comincia la sua indagine storiografica a partire dal tumulto dei Ciompi del 1378 e approfondisce soprattutto gli anni della caduta della signoria medicea e della Repubblica di Savonarola, fino ad arrivare alla discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia, evento che egli considera, con grande acutezza storiografica, il punto di inizio della instabilità politica italiana. L'altra tematica fondamentale dell'opera riguarda la riflessione sulle forme di governo: nell'oscillazione continua tra i due poli della repubblica popolare e dell'assolutismo della signoria, Guicciardini si fa sostenitore di una governo "misto", in cui la rappresentanza al governo sia affiancata da un gruppo ristretto di "saggi".
I Ricordi
Scritti tra il 1512 e il 1530, i Ricordi sono l'opera in cui è racchiusa la sostanza teorica più profonda del pensiero di Guicciardini. Si tratta di un'opera inconsueta: non un trattato che svolge un'argomentazione unitaria, bensì una raccolta di 211 tra pensieri e riflessioni. Il contenuto dell'opera non è sistematico ma composito, nato come scrittura privata, destinata a familiari e amici per consigliarli sulle varie situazioni in cui un cittadino poteva trovarsi. Nella frammentarietà del testo è possibile cogliere il pensiero originale dell'autore sulle tematiche fondamentali della riflessione rinascimentale, già affrontate da Machiavelli. Rispetto a quest'ultimo egli dichiara a più riprese l'inutilità degli antichi modelli e la necessità di approcciare la varietà delle situazioni reali attraverso l'esperienza diretta. Questa porta Guicciardini a dubitare della capacità dell'uomo di essere artefice del proprio destino e ad assegnare invece un ruolo determinante alla fortuna. Per fronteggiare le contraddizioni del reale l'uomo può fare però uso della "discrezione" e della "prudenza".
Il Dialogo del reggimento di Firenze
Nel Dialogo del reggimento di Firenze, scritto tra il 1521 e il 1526, si trova l'elaborazione più compiuta e organica del pensiero politico di Guicciardini, in particolare riguardo al modo di organizzare le istituzioni fiorentine. La forma del dialogo si ricollega a un' illustre tradizione di ascendenza classica e ripresa nel Rinascimento dal Bembo e dal Castiglione. I protagonisti del dialogo sono quattro personaggi che incarnano diverse tendenze politiche: Bernardo del Nero, rappresentante del partito dei Medici, Piero Capponi, oppositore dei Medici, Paolantonio Soderini, sostenitore di Savonarola e Piero Guicciardini, rappresentante del partito degli ottimati. Gli interlocutori affrontano il problema di quale sia il migliore governo: Guicciardini ritiene che è quello nel quale il potere di uno solo sia moderato da una classe di aristocratici che rappresentino però anche gli interessi del popolo. Guicciardini si allontana dunque dalla concezione di Machiavelli che non vede nel conflitto tra le classi una condizione di progresso civile e sociale e teorizza una forma di governo sostanzialmente conservatrice.
La Storia d'Italia
Composta negli anni tra il 1527 e il 1540, quando Guicciardini, negli ultimi anni della sua vita, era ormai lontano dalla attività politica, la Storia d'Italia è considerata dai critici come la prima grande opera della storiografia moderna. Differentemente dalla precedente storiografia che mirava all'erudizione storica, Guicciardini concepisce la sua opera come uno strumento di analisi politica che possa servire a ricostruire il recente passato e a comprendere le cause della crisi della politica italiana. Ancora una volta Guicciardini intreccia la pratica diretta della politica e la sua esperienza sul campo con la attività di storiografo: grazie alla conoscenza diretta di alcuni protagonisti e degli eventi di cui tratta, egli traccia un quadro della situazione politica del primo Cinquecento e una galleria di ritratti di grandi personalità come Leone X e Cesare Borgia. Emerge dall'opera una visione pessimistica della storia, in cui si legge un progressivo declino e in cui gli uomini vivono una condizione di incertezza e sono limitati nelle loro azioni dalla cieca casualità della fortuna.
Le Considerazioni intorno ai Discorsi di Machiavelli
Le Considerazioni intorno ai Discorsi di Machiavelli sono un'opera minore di Guicciardini, redatta nel 1530 e pubblicata in stampa solo nel 1857. In essa si coglie la distanza dell'autore dal pensiero di Machiavelli e da ogni tipo di teorizzazione astratta. Egli infatti critica fortemente Niccolò Machiavelli per il suo atteggiamento nei confronti dei testi classici, dell'insegnamento degli antichi e dell'uso della storia: mentre per Machiavelli la storia è "magistra" e studiare le istituzioni e la storia dei romani può servire alla politica moderna, Guicciardini vede l'incolmabile divario tra le diverse situazioni storiche, divario che rende inutile ogni imitazione. Machiavelli inoltre valuta in modo positivo il conflitto tra il popolo e il senato che fu una costante nell'antica Roma. Guicciardini invece ritiene che questo conflitto fu ragione della crisi delle istituzioni romane e valuta positivamente invece il governo misto della Repubblica romana, dove gli ottimati svolgevano un ruolo di moderazione delle richieste della plebe.