Il linguista inglese Austin sostiene che tutta la nostra comunicazione a livello verbale, dev'essere intesa come una vera e propria azione e, conseguentemente a questa premessa, l'enunciato che viene espresso non è scollegato dal resto ma è collegato. Qualsiasi tipologia di enunciato viene sia detto che fatto, oppure può indicare uno stato in cui si trova il soggetto. Facendo un esempio, potremmo immediatamente cogliere meglio i contenuti. Partiamo dall'enunciato: "Mio padre dorme sul divano". Questo enunciato va a esplicitare delle sfumature differenti di significato, e non è semplicemente una frase detta esclusivamente per descrivere una determinata situazione. In base al contesto questa frase può cambiare il suo significato: se una persona viene a casa e pronunciamo quella frase, l'enunciato può significare "non parlate ad alta voce perché potreste svegliare mio padre"; se invece pronunciamo quella frase al telefono, magari stiamo comunicando al nostro interlocutore che non possiamo parlare di un argomento, perché il padre potrebbe svegliarsi e sentire. Insomma, ogni frase non è solo descrittiva, ma in base al contesto, invita inevitabilmente il nostro interlocutore a fare un'azione. Per spiegare meglio, propongo un altro esempio: A: "Gradiresti un caffè?"B: "no, grazie, non bevo caffè." Nella semplice risposta di B, A è invitato ad offrire qualche altra bevanda a B, anche se quest' ultimo non l'ha richiesta esplicitamente. La risposta di B non solo descrive un'azione, ma nello stesso tempo ne compie un'altra, e cioè quella di mettere A in condizione di offrirgli qualche altra cosa da bere. B si aspetta quindi che A tenga un comportamento conforme alle sue aspettative. In base a queste osservazioni, il filosofo inglese classificò gli atti linguistici secondo una teoria generale che non individua le varie tipologie di enunciati, ma scompone il singolo enunciato nei tre livelli in cui può essere analizzato.