Diritto commerciale: obblighi e rischi dell'imprenditore commerciale
Introduzione
All'interno della generica categoria degli imprenditori, definita dall?art. 2082 c. C., rientrano i due sotto-tipi degli imprenditori agricoli e degli imprenditori commerciali.
L?art. 2195 c. C. Definisce l?imprenditore commerciale (figura principale attorno a cui ruota l'intera materia del diritto commerciale) elencando una serie di attività che sono sostanzialmente riassumibili nella produzione e scambio di beni e nella produzione di servizi. Poiché, tuttavia, anche l?imprenditore agricolo svolge un?attività di produzione e scambio di beni e talune attività connesse che si sostanziano nella produzione di servizi, è opportuno sottolineare che l?individuazione delle attività proprie dell?imprenditore commerciale avviene, in concreto, partendo proprio dall'elencazione (molto più dettagliata) che l?art. 2135 c. C. Fornisce delle attività agricole.
In buona sostanza, tutte le attività di produzione e scambio di beni, nonché quelle di produzione di servizi, che non appartengono all'elenco delle attività agricole, sono da qualificare come attività commerciali.
La distinzione tra i due tipi di attività (agricola o commerciale) è fondamentale dal momento che la legge riconnette agli imprenditori che le esercitano una disciplina differenziata, in termini di obblighi e rischi.
In particolare, alla figura dell?imprenditore commerciale si ricollegano gli specifici obblighi dell?iscrizione nel registro delle imprese e della tenuta delle scritture contabili obbligatorie, nonché il rischio della sottoposizione alla procedura del fallimento (o della liquidazione coatta amministrativa) nel caso di insolvenza.
Esamineremo di seguito ciascuno dei profili indicati.
Occorrente
- Codice civile e legge fallimentare
Iscrizione nel Registro delle imprese
Entro 30 giorni dall'inizio dell?attività, l?imprenditore commerciale è tenuto ad iscrivere la propria attività nel Registro delle Imprese, un registro pubblico tenuto presso le Camere di Commercio di ogni provincia, che rappresenta una sorta di anagrafe delle imprese esistenti sul territorio nazionale e che consente di conoscere i dati importanti relativi a ciascuna attività di impresa esercitata in forma individuale o collettiva.
Poiché il registro è oggi informatizzato, la richiesta di iscrizione, sottoscritta con firma digitale, avviene per via telematica e deve contenere una serie di indicazioni che riguardano specificamente: i dati identificativi dell?imprenditore, il nome col quale l?attività d?impresa viene esercitata (ditta), l?oggetto e la sede dell?attività d?impresa, il nome di eventuali soggetti dotati di poteri rappresentativi dell?imprenditore (institore, procuratori).
L?iscrizione nel registro delle imprese non vale a qualificare un imprenditore commerciale, dal momento che egli è comunque considerato tale se esercita un?attività commerciale con i requisiti della professionalità, organizzazione ed economicità previsti dall'?art. 2082 c. C. Essa serve piuttosto a ?dichiarare? una serie di dati che, una volta registrati, si presumono conosciuti da chiunque vi abbia interesse (si tratta di una forma di ?pubblicità dichiarativa?). Coloro i quali entrano in contatto con l?imprenditore commerciale sono quindi tenuti a consultare il registro per conoscere i dati rilevanti relativi all'impresa, non potendo in alcun caso sostenere di non averli conosciuti, qualora quei dati siano stati regolarmente pubblicati.
Vale, ovviamente, pure il principio opposto: i dati che l?imprenditore non abbia pubblicato, si presumono non conosciuti dai terzi (a meno che l?imprenditore non fornisca la difficile prova che essi li conoscessero comunque).
Il registro delle imprese è retto da un Conservatore, chiamato a garantire la correttezza della sua tenuta che agisce nel rispetto delle indicazioni di un Giudice delegato dal Tribunale di ogni provincia al quale spetta il compito di vigilanza sul Registro.
Tenuta regolare delle scritture contabili obbligatorie
Ulteriore obbligo che grava sull'imprenditore commerciale, ai sensi dell?art. 2214 c. C., è quello della tenuta delle scritture contabili.
E? obbligatoria per ciascun imprenditore la tenuta del ?libro giornale? e del ?libro degli inventari?, nonché degli ulteriori libri contabili che leggi specifiche richiedano per talune imprese, in ragione della natura dell?attività esercitata o delle loro dimensioni.
E? altresì fatto obbligo all?imprenditore di conservare, per 10 anni, la corrispondenza inerente all?attività d?impresa: gli originali dei telegrammi, fatture e lettere ricevute e le copie di quelle inviate.
L?art. 2215 bis, introdotto nel 2009, prevede adesso che le scritture obbligatorie possano essere tenute con modalità informatiche.
L?art. 2219 c. C. Prevede poi che le scritture contabili debbano essere tenute secondo le regole di una ?ordinata contabilità?: circostanza che, come vedremo, rappresenterà un vantaggio per l?imprenditore per il caso di un contrasto da risolvere nelle aule giudiziarie.
Le regole sulla valenza probatoria delle scritture contabili dell?imprenditore stabiliscono che, in linea di massima, esse facciano prova contro di lui, per la evidente ragione che, qualora esse documentino un debito dell?imprenditore, esso risulta provato in quanto nessuno avrebbe interesse a scrivere qualcosa che vada contro i propri interessi, se non fosse vera.
Ma le scritture possono eccezionalmente costituire prova anche a favore dell?imprenditore (ossia dell?esistenza di un suo credito o dell'estinzione di un suo debito): solo se regolarmente tenute e solo nei rapporti con altri imprenditori, con riferimento ai rapporti inerenti all'attività delle rispettive imprese.
Libri contabili non tenuti affatto o tenuti in maniera irregolare, al contrario, potranno far correre all?imprenditore il gravissimo rischio, nel caso in cui sia in corso a suo carico una procedura fallimentare, di essere condannato, in sede penale, per i reati di bancarotta semplice o bancarotta fraudolenta.
Sottoposizione al fallimento (o ad altra procedura concorsuale)
Oltre al normale rischio ?d?impresa? di non riuscire a coprire i costi di produzione coi ricavi, che incombe su ogni imprenditore, l?imprenditore commerciale, a differenza di quello agricolo, corre un rischio ulteriore, molto grave: quello cioè di esser sottoposto, nel caso in cui non riesca a pagare i propri debiti, alla procedura giudiziale del fallimento o alla analoga procedura (applicabile solo a taluni tipi di imprese commerciali) della liquidazione coatta amministrativa.
Si tratta di procedure ?concorsuali?, in quanto esse comportano il concorso di tutti i creditori insoddisfatti, e ?universali?, perché esse comportano la destinazione di tutto il patrimonio dell?imprenditore (e non soltanto di quello destinato all'attività d?impresa!) al soddisfacimento degli interessi dei creditori.
La legge fallimentare del 1942 (e le sue successive modifiche) regola la procedura del fallimento (sulla quale si modella, per grandi linee, anche quella della liquidazione coatta amministrativa) a carico di imprenditori commerciali la cui attività superi taluni limiti in termini di attivo patrimoniale, ricavi lordi e ammontare di debiti. La proceduta viene attivata, in genere, dai creditori e viene diretta dal Tribunale del luogo in cui ha sede l?impresa. Essa ha inizio con la sottrazione di tutti i beni dell?imprenditore (fanno eccezione solo quelli strettamente personali e quelli necessari al suo sostentamento) i quali verranno gestiti dal curatore fallimentare, nominato dal Tribunale, fino alla loro vendita e alla ripartizione del ricavato fra i creditori, nel rispetto del principio della ?par condicio creditorum?.
E in questa procedura, disastrosa dal punto di vista economico, vi è pure spazio per conseguenze ulteriori, anche di carattere penale, a carico dell?imprenditore, qualora emergano le prove che il fallimento è imputabile ad una sua cattiva e irresponsabile gestione.
Consigli
- E' opportuno mettere a confronto l'impresa agricola e l'impresa commerciale